In tutti gli studi recenti, si evidenzia che gli adolescenti vivono tempi complessi e che il Covid-19 è stato un acceleratore di una situazione difficile preesistente.
“Spesso si invertono i ruoli in famiglia e anche nella Scuola c’è la necessità di cambiare rotta, altrimenti si rischia di compromettere le nuove generazioni”.
Così afferma in questa intervista Erik Tomarelli, oggi Educatore professionale presso Futura cooperativa sociale, che ha conosciuto per la prima volta svolgendo il Servizio civile nel periodo 2015-16.
Con la Pandemia si sono evidenziate nuove problematiche negli adolescenti: una fascia di età, già di per sé, delicata. Quali sono di preciso le difficoltà che questa malattia collettiva ha aggiunto nei ragazzi?
Hai detto bene, l’adolescenza è già un periodo delicato di per sé perché caratterizzato da cambiamenti fisici, emotivi, caratteriali in cui i ragazzi si avvertono in una dimensione strana che faticano a comprendere. Questa incertezza si è amplificata durante la pandemia. La mancanza di prospettive future e socializzazione azzerata ha portato a una maggiore chiusura in se stessi. I genitori, poi, non hanno sempre gli strumenti idonei per aiutare i propri figli e, anche involontariamente, a volte recano ancora più disagio in queste nuove generazioni.
Qual è stata la restrizione principale, che ha provocato questi disagi?
È stata una serie di fattori:
distanza tra coetanei, mancanza di condivisione se non tramite i social network, sospensione di attività fino a quel momento ritenute fondamentali per la propria crescita come sport, musica, teatro; nelle scuole prima la sospensione e poi la didattica a distanza. Tutto si è fermato e questi ragazzi si sono trovati spaesati, soli con se stessi in cerca di una via d’uscita attraverso una forte, potente frustrazione.
Sono state colpite più le femmine o più i maschi?
Entrambi hanno accusato il colpo ma mentre le ragazze sono riuscite nella solitudine a trovare stimoli creativi per stare da sole con se stesse, questo è successo di meno per i ragazzi che nella solitudine faticano maggiormente a trovare nuove risorse innescando comportamenti impulsivi di rabbia e frustrazione. Questo alla lunga si è evoluto in una situazione di ritiro sociale o in un aumento di comportamenti violenti come è successo negli ultimi mesi in alcuni episodi riportati anche dai media nazionali.
Che tipo di preoccupazioni avvertite in particolar modo da parte delle famiglie, che si rivolgono a Futura per chiedere il supporto educativo? Qual è il loro stato d’animo che cogli in prima battuta?
Le famiglie sono preoccupate perché i ragazzi non parlano più, spesso si chiudono in cameretta giocando ai videogiochi e le uniche interazioni che hanno con i genitori sono, quando va bene, durante i pasti. Dico quando va bene perché nei casi di ritiro sociale più avanzati, i famosi Hikikomori, è anche difficile uscire dalla propria camera per andare a mangiare.
Spesso troviamo delle famiglie preoccupate per la situazione che si è venuta a creare, ma anche perché si rendono conto di non avere gli strumenti idonei per agire con i loro figli. Molte volte questo genera nei genitori dei vissuti ansiosi che poi potrebbero trasmettere, anche inconsciamente, ai figli peggiorando inevitabilmente la situazione.
Suppongo che si sia formata un’equipe educativa, formata dalla cooperativa sociale Futura, dalle famiglie, dalla scuola e da altri intermediari interessati. Giusto?
Si, il lavoro di rete è fondamentale perché bisogna agire su più fronti creando un’alleanza educativa. Sicuramente la famiglia è fondamentale ed è importante costruire un rapporto di fiducia reciproca e ascolto. Altri enti con cui collaboriamo quotidianamente sono i servizi di neuropsichiatria, la scuola, gli psicologi e i medici che seguono i ragazzi. Più prospettive abbiamo sul ragazzo e meglio possiamo intervenire a livello educativo.
Quali interventi educativi sono stati adottati nei confronti degli adolescenti per far fronte a queste nuove problematiche?
Gli interventi educativi che abbiamo messo in atto sono orientati sull’ascolto e sulla relazione in primis. Spesso ci concentriamo sul saper fare attraverso la creazione di attività e laboratori che consentono di far emergere quelle capacità e abilità rimaste inespresse. Facendo così si auspica un incremento della propria autostima e maggiore fiducia in se stessi.
Fiducia che si tramuta in un’apertura al mondo esterno e soprattutto alla relazione con il gruppo di pari, elemento essenziale nel percorso di crescita dell’adolescente.
Ovviamente queste tappe non sono così immediate, spesso si presentano ostacoli derivanti da fattori interni ad esempio emotivi, relazionali o legati a una percezione del proprio corpo e da fattori esterni come quelli ambientali o quei fattori legati appunto a situazione esterne come il caso della pandemia ad esempio.
Nuove difficoltà che, secondo te, saranno destinate a scomparire nel tempo o si ripercuoteranno nella loro vita, a tal punto da compromettere le nuove generazioni?
Se non si creano delle politiche incentrate su una tutela dell’adolescente ci potranno essere seri danni per le nuove generazioni. Deve cambiare anche il modo di vedere gli adolescenti, spesso vengono stereotipati come poco di buono. Loro gridano aiuto attraverso comportamenti alternativi e noi adulti al posto di aiutarli, li critichiamo e ignoriamo.
Deve cambiare la scuola, si devono cambiare le modalità di insegnamento. Abbiamo bisogno di insegnanti che stiano vicini all’adolescente e non che lo giudichino dall’alto della loro autorità.
Secondo te, di che cosa hanno effettivamente bisogno questi ragazzi per uscire da questo vortice in cui si sono ritrovati? Dello psicologo ad esempio? Oppure essere, semplicemente, liberi di correre e incontrare i loro coetanei come avveniva nell’era anti-Covid-19?
Gli adolescenti hanno bisogno di ritornare a essere adolescenti. La pandemia ha solo enfatizzato una crisi adolescenziale che da anni stava emergendo. Troviamo adolescenti che si comportano da adulti e magari troviamo in famiglia genitori che si comportano da adolescenti. Assistiamo a un’incredibile confusione di ruolo.
Gli adolescenti hanno bisogno di ritrovare gli amici, hanno bisogno di inseguire la loro libertà, hanno bisogno di tornare a esprimersi attraverso la musica, lo sport, l’arte, il gioco. Hanno anche bisogno di ritornare a scontrarsi con il mondo degli adulti invece pare che anche il carattere trasgressivo, tipico di questa età, stia venendo meno. Sono solo alcuni segnali che qualcosa non sta funzionando.
Certo, le figure come lo psicologo e l’educatore sono fondamentali perché consentono ai ragazzi di fare ordine in tutto questo caos che si sta verificando in questo periodo storico e sociale.
Secondo te, questi nuovi problemi adolescenziali non sono legati esclusivamente a qualche disabilità o al Covid-19?
Se fossero stati creati da altre cause, quali sono state?
Come accennato prima, il Covid è stato solo un detonatore per amplificare un problema sociale preesistente. Le cause scatenanti sono soprattutto legate alla famiglia e alle contraddizioni che ci sono in essa, i bambini di oggi sono iperstimolati, non sanno gestire frustrazione e rabbia, non si insegna loro a gestire la noia, si tende a dare ai bambini tutto e subito. Questo porta a mancanza di competenze sia nell’adolescenza che nell’età adulta. Inoltre viviamo in un mondo basato continuamente sulla performance e sulla perfezione. I ragazzi si riflettono in influencer e modelli che appaiono sempre perfetti, l’imperfezione viene vista come una sconfitta. Insomma, sono tante le cose da cambiare, probabilmente servirebbero interventi mirati da parte delle istituzioni e soprattutto agire in ottica preventiva formando il mondo adulto alla consapevolezza su comportamenti e atteggiamenti da adottare per aiutare crescere in modo sano questi ragazzi.
Paolo Belluzzo
paolobelluzzo@futuracoopsociale.it