Una persona laboriosa, attenta, sempre pronta a inventare iniziative e progetti, disponibile ad accogliere e promuovere soprattutto la diversità, intesa non come separazione, bensì come inclusione tra i popoli e persone. A lei piace promuovere questa diversità facendo conoscere le diverse lingue che esistono, trasformandole anche in gioco, suoni, storie. Perché la diversità si impara fin da bambini.
Vi sto parlando di Silvana Schiavi Fachin: è stata docente di didattica delle lingue moderne presso l’Università di Udine, nonché deputata nella X Legislatura durante la quale, nel settore Lingue, ha portato, per la prima volta, all’approvazione della Camera la legge di tutela delle minoranze linguistiche d’Italia. Ha promosso, inoltre, la creazione del centro Internazionale sul Plurilinguismo dell’Università di Udine. Si occupa della creazione di materiali didattici multilingua e multimediali. Lo scorso anno Futura ha conosciuto Silvana, tramite una collaborazione iniziata con l’ARLEF, l’Agenzia Regionale per la Lingua Friulana, per il progetto editoriale 99domande. È bastato solo un input iniziale per far nascere una splendida collaborazione. Silvana, anche in questo caso, ci ha messo anima e corpo come si suol dire. Un’intesa che ha permesso la nascita del suo ultimo lavoro editoriale: “99peraulis – Fevelâ cul mont, Parlare col mondo, Talking to the world”. Si tratta di un nuovo progetto della collana 99domande, un libro-gioco con 99 schede, dedicato ai bambini e alla didattica plurilingue. È pubblicato da Futura Edizioni e sostenuto dall’ARLEF.
A noi della redazione di FuturaVillage è sembrato importante fare un’intervista a Silvana e proporvela. Ringraziamo Silvana della disponibilità che, come si sa, non è mai scontata.
1. Silvana, tu hai fondato il centro Internazionale sul Plurilinguismo dell’Università di Udine: perché è così importante il plurilinguismo? Ci offre qualcosa di più?
Quando nel 1987 fui eletta alla Camera del Deputati del Parlamento italiano, oltre agli impegni che mi ero assunta in campagna elettorale e che riguardavano anche interventi per migliorare la qualità della scuola in generale e gli insegnamenti linguistici, in particolare ritenni mio dovere di occuparmi della crescita della giovane Università del Friuli nata per volontà popolare e presso la quale lavoravo dal 1971. Avevo collaborato col Professor Nereo Perini a un progetto di ricerca per l’elaborazione del quale avevamo visitato molte università e centri di ricerca europei coltivando l’idea di crearne uno nella nostra regione1. Avevamo steso un progetto di massima e cercato di raccogliere – senza molto successo – l’adesione di altri colleghi. Preparai, anche su sollecitazione del Rettore di allora, il prof. Franco Frilli, una proposta di legge che portai in Parlamento. Era allora in discussione la legge sulle “Aree di confine”, provvedimento di carattere prevalentemente economico ma che apriva dei piccoli spazi anche ai temi culturali e della formazione. Mi fu suggerito di trasformare la proposta di legge in un emendamento che fu inserito nella legge n.19/1991 e che portò all’istituzione del “centro Internazionale di Studi sul Plurilinguismo”. Unico in Italia e uno dei pochi in Europa, dovrebbe diventare un punto di riferimento per gli studi sul multilinguismo e l’educazione plurilingue di livello davvero internazionale.
La nostra regione è, infatti, una terra che rappresenta in Europa un vero laboratorio di ricerca e di sperimentazioni nel campo dell’educazione in diverse lingue. Sin dagli anni ottanta abbiamo avviato progetti-pilota di educazione bilingue precoce (friulano–italiano e sloveno–italiano) che si sono estesi nel tempo in esperienze di educazione plurilingue: trilingue (friulano-italiano-tedesco) e quadri-lingue (friulano-italiano-sloveno e tedesco) nelle aree montane alle quali più tardi si è aggiunta la lingua inglese. Dalla fine degli anni novanta l’esperienza ha coinvolto anche la fascia della scuola media dei centri della pianura ed è entrata anche in alcune scuole secondarie superiori delle città capoluogo. Queste esperienze tuttavia restano sempre confinate in progetti sperimentali o nei potenziali spazi di autonomia didattica e di nuovi assetti organizzativi che soltanto alcune scuole sanno cogliere. Il sistema rimane troppo rigido e l’innovazione dal basso non riesce a diventare mainstreaming, cioè un sistema generalizzato che riesca a garantire a tutti i cittadini di questa regione multilingue di diventare plurilingui in tutte le lingue dell’ambiente e di imparare anche altre lingue straniere: o le lingue dei paesi vicini (l’Austria e la Slovenia) o lingue di più vasta circolazione come l’inglese o il cinese.
2. Perché, secondo Lei, è importante mantenere vive le lingue minoritarie?
Ogni processo di educazione plurilingue non dovrebbe prescindere dall’analisi dei bisogni e dai desideri comunicativi orali e scritti degli apprendenti, dall’infanzia all’età adulta. Se pensiamo, ad esempio, ai bambini o agli adolescenti della .nostra regione, ci rendiamo immediatamente conto che le lingue di contatto diverse dall’italiano non possono che essere il friulano, lo sloveno e il tedesco nelle loro diverse varianti locali o standard. È, infatti, il possesso – anche limitato – di queste lingue che permette agli allievi un uso delle lingue anche al di fuori della scuola, nei contatti con parlanti che vivono o visitano la nostra regione o che possono incontrare facilmente andando in Austria e in Slovenia. Il ruolo delle lingue minoritarie assume dunque in questa prospettiva una funzione nuova e fondamentale nell’avviare un percorso in diverse lingue.
3. Quali sono le azioni da fare in questo senso? E quali sono invece le azioni negative?
Un’oculata programmazione linguistica regionale permetterebbe a tutte le nostre scuole di promuovere un efficace quadri-linguismo di base come già si fa nelle Province di Bolzano e di Trento e di avviare tutta la popolazione scolastica a percorrere quella fase dell’educazione linguistica che ha come obiettivo primario di “imparare a imparare le lingue”, un presupposto cardine, secondo la ricerca più accreditata, per il raggiungimento di un poliglottismo anche in altre lingue in età adulta. L’introduzione obbligatoria dell’inglese in età precoce finisce per confinare la lingua all’interno delle materie scolastiche con poche o nessuna occasione per usarla come strumento vivo di scambio e privandola del contatto con i contesti culturali autentici dei popoli che la usano. Anche le lingue della nuova immigrazione (l’albanese, il cinese, l’arabo, ecc.) potrebbero rappresentare in questa fase un altro potenziamento dell’educazione plurilingue di base se la politica linguistica regionale prevedesse una diffusa sensibilizzazione delle famiglie e dell’opinione pubblica, se avviasse una sistematica collaborazione con l’università per la creazione di strumenti adeguati e per la formazione professionale dei docenti.
4. Immagino che, insegnando per molti anni, Lei abbia conosciuto svariati giovani. Le volevo chiedere quali sono i cambiamenti che ha notato e come si è modificata la lingua. I giovani parlano ancora il friulano? Come lo vivono?
Le lingue, tutte le lingue, sono organismi vivi e dunque in costante cambiamento. Anche il friulano, col mutare delle condizioni familiari, sociali, ambientali ed economiche rispecchia questi mutamenti. Anche l’inglese, che è oggi fortemente caratterizzato da una cultura tecnologica, scientifica, economica e mediatica, è nato, come tutte le lingue, come strumento che esprimeva una cultura prevalentemente contadina. Così il Friuli, uscito dal mondo contadino dei nonni è oggi fortemente influenzato dai modelli culturali, italiani e stranieri che, anche attraverso i mezzi di comunicazione di massa, entrano ormai in tutte le nostre case. La scuola ha contribuito non poco all’abbandono dell’uso del friulano anche nelle famiglie. Nonostante ciò oggi si coglie nei giovani una tendenza a riappropriarsi delle lingue locali specialmente nei casi in cui siano stati coinvolti da qualche insegnante illuminato in attività musicali o teatrali di qualità o abbiano avuto l’occasione di apprezzare gli aspetti più qualificanti della produzione letteraria, musicale, artistica della nostro territorio. Diceva il grande scrittore Antonio Tabucchi: “Facciamo conoscere al popolo la storia della sua terra e finirà per amarla”.
5. Un’ultima domanda con una premessa: ho scoperto che, da parlamentare, lei è stata una dei promotori della Legge quadro 104 sull’Handicap, del febbraio ’92. Che tipo di sensibilità l’ha spinta a partecipare a questa legge? A distanza di oltre ventidue anni dalla nascita, secondo Lei questa legge quanto è stata applicata e quanti benefici sono stati tratti?
Come componente della Commissione cultura della Camera dei Deputati, mi sono sempre occupata non soltanto di scuola e di università, ma della salvaguardia dei beni culturali, ambientali e dei diritti umani. L’Italia è stata in Europa, e per molto tempo, un modello d’inclusione. Ricordo che gli studenti e le studentesse che venivano all’Università di Udine grazie al progetto ERASMUS, molto spesso dovevano svolgere, come progetto di ricerca, un’indagine sull’inserimento dei disabili nella scuola, considerato tra gli aspetti più innovativi del nostro sistema educativo. Col tempo, nel corso dell’ultimo ventennio, anche in questo campo, il nostro Ministero ha penalizzato la scuola, causando profonda frustrazione alla professionalità dei docenti e una grave lesione ai diritti di formazione e d’inclusione dei cittadini con disabilità.
PERINI, N. (a cura di), 1985, “La formazione iniziale e la formazione in servizio degli insegnanti di lingue straniere nei paesi della CEE : analisi comparativa” , Gruppo Nazionale per la Didattica del CNR, Udine, Angelico Benvenuto Editore.