Come sarà l’inclusione sociale nell’era post-Covid? E come si modificherà il volontariato e la partecipazione delle persone? In attesa di capire come riprogrammare le attività estive dedicate a persone con disabilità, Tommaso Grosso, presidente del DUM, ragiona su come ricostruire i percorsi di partecipazione delle comunità: «Dobbiamo imparare a toglierci un po’ di maschere e saper essere noi stessi accettando anche gli altri per quello che sono».
Intro di Francesca Benvenuto | Intervista di Paolo Belluzzo
Come sarà l’inclusione sociale nell’era post-Covid? Si potrà semplicemente riiniziare ad abbracciarsi e stare insieme come si faceva prima? Se lo chiedono in molti, soprattutto chi oggi si occupa di relazione e ha come obiettivo la qualità della vita delle persone fragili. Tra questi, Tommaso Grosso, presidente della comunità di volontariato “DUM Dinsi Une Man” di Tolmezzo che concentra la sua attività proprio sulla socialità nella sua forma più semplice: le vacanze. A partire dalla metà degli anni 70, infatti, il DUM, ha iniziato a organizzare soggiorni estivi per persone con disabilità raggiungendo i circa 200 partecipanti ogni anno.
La riflessione nasce su sollecitazione di Paolo Belluzzo, redattore di FuturaNews e ospite dell’associazione fin dai primi soggiorni, le cui parole campeggiano nella home page del sito web www.dinsiuneman.it:
“È molto calda l’estate del ’72.
Sento la pelle della schiena fondersi con lo schienale della carrozzina.
Ascolto le voci intorno a me.
Mi tuffo tra quelle parole cercando una sensazione ancora sconosciuta, lontana.
Non voglio più immaginare, voglio sentire”.
Le vacanze potrebbero sembrare un surplus, soprattutto se le paragoniamo alle difficoltà che una persona con disabilità incontra ogni giorno. Rappresentano, però, dei momenti fondamentali per l’equilibrio dell’individuo fragile e della sua famiglia che per alcuni periodi nel corso dell’anno trova sollievo dalla quotidianità con la certezza che il proprio familiare sia tutelato e accolto. Tutto ciò, però, oggi è possibile, e accessibile a tutte le situazioni economiche, solo grazie all’apporto di un fattore determinate: il volontariato.
Cosa ne sarà, quindi, di questo mondo fatto di solidarietà spontanea e partecipazione civile che non chiede nulla in cambio se non il fatto di essere visto e riconosciuto? La riflessione è molto importante, perché sottolinea il peso e l’importanza delle comunità che agiscono indipendentemente dal ritorno economico e spinte da motivazioni etiche. Sono anche lo specchio della volontà delle persone di stare insieme concretamente, e non in comunità virtuali, e di non delegare la realtà solo allo Stato e al mondo economico.
Dall’intervista di Paolo Belluzzo a Tommaso Grosso, presidente dalla Comunità di Volontariato Dinsi Une Man:
Siamo di fronte a un virus che oltre a provocare morti, si mangia letteralmente le relazioni, l’elemento che più di tutti caratterizza il concetto di inclusione sociale. Come s’immagina il D.U.M e il mondo del volontariato nell’era post Covid-19?
Su questo aspetto ci stiamo interrogando molto come associazione, soprattutto a livello organizzativo perchè è una tematica che incide concretamente nella programmazione della prossima stagione estiva. Credo che al momento sia ancora difficile fare delle previsioni su come sarà il D.U.M. nell’era post Covid-19, almeno per quanto riguarda l’immediato futuro. Di certo questo virus ci ha messo in forte difficoltà perché la nostra esperienza è di fatto basata sul contrario di tutto ciò che le misure di contrasto al contagio imponevano di svolgere. Se da un lato sono vietati baci e abbracci, si predica distanziamento sociale e meno “contatto umano”, dall’altro lato i turni del Dinsi Une Man sono sempre stati per definizione un “assembramento” di almeno 60-70 persone che condividono un’esperienza comunitaria basata sulla relazione e sull’annullamento della distanza sociale tra le persone, che siano volontari o persone con disabilità.
Quella che sento come la sfida più immediata sarà proprio trovare la giusta strada per ripensare i prossimi appuntamenti cercando di preservare la storicità dei valori associativi ed il senso di comunità tutelando la salute di tutti, le persone più fragili in primis.
– Tommaso Grosso, presidente Dinsi Une Man
Nonostante questo però abbiamo provato a incontrarci, durante un weekend di metà Settembre, rispettando le regole di distanziamento e ripensando il nostro stare insieme: non è stato facile ma quando ci siamo salutati tornando a casa ci siamo detti che comunque ne è “valsa la pena”, le sensazioni di fine giornata sono state le stesse di quando ci si incontrava in periodi pre-Covid. Quella che sento come la sfida più immediata sarà proprio trovare la giusta strada per ripensare i prossimi appuntamenti cercando di preservare la storicità dei valori associativi ed il senso di comunità tutelando la salute di tutti, le persone più fragili in primis. Infine, non so dirle se ci saranno più volontari, analizzando il trend degli ultimi anni le prospettive non sono proprio rosee, ma questo era un aspetto che ci creava qualche grattacapo già da un po’ di tempo, temo che la pandemia abbia solo accentuato e non creato questo problema. Quello che ci auguriamo è di trovare, nelle persone che hanno passato questo “periodo Coronavirus”, una mentalità più elastica, magari già con un background di spirito solidale e di senso comunitario, avendo fatto proprio uno dei pochi lati positivi che l’epidemia ci ha lasciato.
Il Covid ci ha mostrato che non esistono etichette: sani e disabili, siamo diventati tutti fragili. È paradossale come questo atteggiamento sia anche ciò che rende unico lo stile DUM: nessuna differenza tra la persona in carrozzina e il volontario, tra chi ha delle disabilità fisiche o intellettuali, siamo tutti alla pari. C’è la possibilità che il Covid ci permetta di incominciare a ragionare sempre in questa ottica?
Sicuramente uno degli elementi che ha maggiormente caratterizzato questa pandemia è il fatto che il virus non ha guardato in faccia nessuno, ha colpito indistintamente tra tutte le fasce di popolazione. Tuttavia, ciò che in parte ha contribuito ad alleviare la sofferenza di questo momento così difficile, è stata proprio l’attenzione che molti hanno avuto per le persone più fragili, più esposte al rischio da contagio e che avrebbero potuto subire le conseguenze più pesanti in seguito alla malattia. Credo che questo possa essere visto come un buon punto di partenza per cominciare a vedere l’altro, il diverso, il più “fragile” innanzitutto per quello che è: una persona! In questi anni al D.U.M., nelle varie testimonianze e alle persone che cominciavano ad approcciarsi alla nostra realtà, ci è sempre piaciuto sottolineare che la persona viene prima di tutto: a poco serve porre l’attenzione sulla carrozzina se prima non ascolto ed accolgo chi ci è seduto sopra! Mi auguro che, anche una volta passato questo periodo, non ci si dimentichi dello spirito di solidarietà che ci ha accomunato e si possa veramente “incominciare a ragionare con un’altra ottica”.
Credo che questo possa essere visto come un buon punto di partenza per cominciare a vedere l’altro, il diverso, il più “fragile” innanzitutto per quello che è: una persona!
– Tommaso Grosso, presidente Dinsi Une Man
Non si può parlare concretamente di inclusione sociale di persone fragili se non si parla di comunità e territorio: se lei diventasse un giorno sindaco, quali concetti accosterebbe ad accoglienza e a partecipazione? Cosa manca per rendere reale questa idea e come si realizzerebbe nel concreto?
Su questi aspetti, caro Paolo, mi coglie un po’ impreparato perché una delle peculiarità del D.U.M. è proprio quella di non avere un territorio: le persone che ruotano attorno alla nostra comunità provengono un po’ da tutta Italia ed in alcuni casi anche dalla vicina Slovenia. D’altronde però, quando ci salutiamo al termine di uno dei nostri appuntamenti, siamo abituati a dirci che rientrando a casa ognuno deve portare nel proprio quotidiano e nel proprio contesto ciò che ha vissuto all’interno della famiglia DUM.
Per poter accogliere e creare un percorso di partecipazione condiviso come comunità dobbiamo imparare a toglierci un po’ di maschere e saper essere noi stessi accettando anche gli altri per quello che sono.
– Tommaso Grosso, presidente Dinsi Une Man
Ecco allora che, in un certo senso, anche la nostra Comunità è legata al territorio e interagisce fortemente con esso. Se un giorno diventassi sindaco del mio comune, per sensibilizzare la cittadinanza sui temi dell’accoglienza e della partecipazione partirei sicuramente da ciò che questi anni di vita comunitaria mi hanno insegnato: per poter accogliere e creare un percorso di partecipazione condiviso come comunità dobbiamo imparare a toglierci un po’ di maschere e saper essere noi stessi accettando anche gli altri per quello che sono. Per rendere poi più concreti questi ideali, ritengo fondamentale una comune riscoperta di tutti i valori autentici che dovrebbero stare alla base della società. Vedo che questo un po’ ci manca e siamo distratti da molte altre cose che spesso ci impediscono di relazionarci con l’altro: per puntare a un contesto più inclusivo e basato sulla centralità della persona, indipendentemente dal suo aspetto o dalla sua provenienza, è necessaria una maggiore condivisione di valori.
Quali possono essere le risorse e gli stimoli da fornire alle persone per essere più predisposte a far partecipare la persona con disabilità? Cosa possono fare associazioni come il DUM?
Mi auguro che la trasformazione culturale avviata negli ultimi decenni non si arresti; se penso ai primi anni di attività dell’associazione (metà anni ’70 circa) durante i quali la persona con disabilità era ritenuta quasi una vergogna, devo dire che di strada ne è stata fatta. Ritengo che uno dei passi fondamentali per proseguire su questo percorso sia un approccio che definirei quasi educativo/formativo. Provo a spiegarmi meglio: prima che la pandemia ci fermasse, come D.U.M. avevamo avviato un progetto di sensibilizzazione ai temi sulla disabilità rivolta ai bambini delle scuole primarie. Siamo convinti che la comunità, locale o globale che sia, ha bisogno di un percorso e di una formazione per diventare più predisposta all’inclusione. In quest’ottica hanno un ruolo chiave le nuove generazioni, sulle quali ovviamente riponiamo molta fiducia. Capita oramai spesso, durante le occasioni che l’associazione offre per incontrarsi, di vedere i figli dei volontari che in passato hanno frequentato il D.U.M.: è chiaro che questi ultimi crescendo ed essendo già educati all’inclusione delle persone con disabilità hanno un approccio “avvantaggiato”. In questi scenari il ruolo delle associazioni come il DUM, che da anni ormai lavorano su queste tematiche, è quello di riuscire a fare in modo di creare sempre nuove occasioni di incontro, esperienza, conoscenza.
Siamo chiamati a trovare soluzioni ed escogitare metodi per continuare a fare volontariato con i valori di sempre ma sulla base di ciò che ci chiede la realtà attuale. Per essere sempre più incisivi penso che il miglior metodo sia quello di cooperare.
– Tommaso Grosso, presidente Dinsi Une Man
Qual è il lavoro che deve compiere il Terzo Settore per raggiungere questo obiettivo?
Il compito del Terzo Settore credo sia in primo luogo quello di darsi una struttura, una voce, una rappresentanza per tutte questa realtà, che comunque sono presenti, sono tante e operano attivamente sul territorio. Essere organizzazione di volontariato al giorno d’oggi non è come esserlo venti o trent’anni fa: è cambiata la società, sono cambiate le persone, le leggi, le normative, il senso di responsabilità. Tuttavia, c’è sempre la stessa necessità di restare al passo con il tempo che stiamo vivendo. Siamo chiamati a trovare soluzioni ed escogitare metodi per continuare a fare volontariato con i valori di sempre ma sulla base di ciò che ci chiede la realtà attuale. In questi ultimi anni inoltre stiamo riscoprendo la vera forza del lavorare in rete: spesso condividendo intenti, progetti, attrezzature ed anche personale volontario tra associazioni. Per essere sempre più incisivi penso che il miglior metodo sia quello di cooperare: appurato che molte problematiche sono comuni alle varie realtà del terzo settore (difficoltà nel reperimento volontari, carenza di fondi, adempimenti burocratici vari) si possono superare trovando delle soluzioni in comune. Riprendo anche un po’ una delle domande precedenti: per essere veramente incisivi occorre avere un approccio più formativo/educativo, oggi non si improvvisa più il “fare volontariato”.
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